Territori e regni. Patrimonio di bellezze naturali e di vita, di luoghi abitati e silenzi.
Sentieri che s’inoltrano nell’oscurità del mondo, in luoghi ancora inospitali e lontani, in regioni isolate e in valli remote, dove antichi riti e secolari tradizioni si confondono in ritmi e atmosfere d’altri mondi. Nell’immagine, nel richiamare la visione di un momento, nel ricondurre l’osservatore alle occasioni e alle situazioni vissute, Giovanni Mereghetti ripone in un’efficace mappa visiva il racconto di un viaggio e di un’esperienza.
Episodi, avventure, vicende: un andare lontano che diviene ricerca, partecipazione, conoscenza, testimonianza di nuove amicizie e di legami, di vite incontrate e di sguardi incrociati.
Conoscere. Rimanere affascinati e travolti dalla scoperta; misurarsi con lo spettacolo e il mistero di luoghi incantati e di ampi silenzi. Una natura selvaggia, intatta e incontrastata: la valle del fiume Omo, gli immensi altopiani, la savana e le paludi, le aride praterie e le verdi foreste, gli intricati sistemi muntuosi, i laghi Zway, Abbaya e Chamo, la Rift Valley. La terra e i villaggi degli Hamer popolate da figure femminili dalle acconciature splendenti che indossano pelli adornate con conchiglie provenienti dal lontano Mar Rosso; dei Dorzè, gente tenace, di infaticabili agricoltori e di abili tessitori di cotone che abitano le montagne Guge in capanne alte dieci metri; dei Mursi, le cui donne sono note per portare un piattello di argilla nel labbro inferiore e nei lobi delle orecchie; dei Karo, unica etnia della valle dell’Omo che viva prevalentemente dell’attività della caccia, un mestiere esercitato da uomini che ripongono grande attenzione alle pitture corporali e alle elaborate acconciature dei capelli; degli Tsamay, la cui tradizione propone un perizoma femminile terminante a coda rigida per lasciare la traccia del passaggio sul terreno, dei Konso, famosi artigiani e agricoltori sedentari di origine cuscitica, capaci di coltivare mais, miglio, patate, ceci e piselli in terrazzamenti di pietra abilmente realizzati; bravi musicisti, suonano flauti, masinko e tamburi; dei Borana, le “genti del mattino”, popolo di pastori seminomadi che si considera il più antico gruppo Oromo.
Un territorio, dominio di fieri e bellicosi guerrieri e di altere figure, di esperti pastori, di validi cacciatori e agricoltori. Popolazioni primitive ed etnie diverse; un mosaico affascinate, un’attraente mescolanza di suoni, colori , costumi, credenze e abitudini.
Ma anche la città di Addis Abeba con i suoi eccessi e le sue contraddizioni rimane un luogo difficile da penetrare e da svelare; un paesaggio in movimento, inatteso e travolgente, come la vivace realtà cittadina di Shashamane, il mercato di Arba Minch, di Key Afer e di Chencha.
Il sud dell’Etiopia, l’Africa nera e sconosciuta, è la frontiera, la grande barriera naturale , una terra straordinaria e sorprendente. Ma il sud del mondo è, prim’ancora di un luogo, una condizione. Lo vediamo, lo percepiamo nei ritratti, nei volti e nelle gesta riprese, nella vita che appare, nella simpatia e nella prudenza incontrata. Una voglia di esistere e di “abitare” raccontata nelle azioni di giocosi bambini, nell’espressione della vita ordinaria, nei riti e nelle cerimonie, nelle esibizioni di segni e distinzioni, di decori e di monili, di strumenti e utensili.
Dinanzi a noi, l’identità di popoli in cammino; una volontà di esistere ricercata tra le pieghe dell’incertezza, tra il timore di perdere il legame con la tradizione e l’incessante richiamo ad un presente di conformazione e di contraddizione. Scene di vita e di quotidiana ricerca – esistenza.
Nell’opera di Giovanni Mereghetti il reportage assume i toni significativi dell’indagine, del valore di una ricerca sociale e antropologica che scivola nella voluta partecipazione e adesione. L’osservazione non rimane grigio rilevamento condotto al margine di avvenimenti e storie, ma si caratterizza e si colora di un ricercato contatto, di un entusiastico desiderio di entrare, anche per poche ore, nella vita ordinaria della comunità visitata.
Giovanni Mereghetti è ospite e amico, un curioso esploratore e un tenace reporter che ritrova nello scambio e nel dialogo i presupposti di una conoscenza libera e diretta.
Dunque, il lavoro fotografico di Giovanni Mereghetti si iscrive a pieno titolo nella tradizione classica del reportage di ricerca; un filone d’indagine che in Italia annovera illustri padri e giovani promesse.
E il linguaggio del fotogiornalismo ritrova in Mereghetti un valente e maturo interprete, uno spirito libero e creativo dal sicuro senso poetico e, al contempo, dallo sguardo limpido e sincero. Tra cronaca e ritratto, l’autore ci trasmette il fascino di una scoperta e il significato di una realtà vissuta.
Guardando le immagini di questo lavoro, in un bianco e nero rigoroso e attento, nei suoi dettagli essenziali, non sfugge la personale impronta visiva, certamente matura e consapevole, che caratterizza e qualifica tutta l’opera che non vive della sola documentazione.
Denis Curti